Mentre tutti voi parlate di scuola, ripresa, esami, di come tenere i banchi, le sabbiere, i bagni, il termoscanner, gli ingressi, incrociarsi sì, incrociarsi no, flussi di direzione, sanificazioni, distanze… e chi più ne ha più ne metta… Vi vorrei chiedere se sapete cosa è per un bambino la scuola.
Eh no, non per un bambino della scuola dell’obbligo o della primaria… troppo facile.
Chiedetevi che cosa è la scuola materna, anzi la scuola dell’infanzia, per un bambino di 3 anni, di 4 , di 5.
Ci avete mai pensato davvero per più’ di 5 minuti?
Mi sa di no, perché di Infanzia parlate così poco, come se non sapeste che esistono bambini/e che non imparano le tabelline, che non vengono valutati, che non devono avere quaderni, penne, astucci… e allora magari vi chiederete: cosa fanno?
Vivono, cari signori miei.
Vivono?
Sì, Vivono.
Vivono in una “bolla”, fatta di sapore di pasta al pomodoro, manine impiastricciate, tempere sul grembiule, costruzioni montate e smontate mille volte, buche e stradine nella sabbia, percorsi inventati, trenini fatti di sedioline, tane costruite nelle casette o dentro l’angolo morbido, travestimenti, giochi del “fare finta che”, pitture, abbracci, spinte, lacrime, sorrisi… tanti, tantissimi sorrisi.
Vivono per la prima volta una vita di comunità, di cooperazione, di condivisione, fatta di obblighi e
di regole ma anche di tanti bellissimi diritti. Come quello di sentirsi grandi. Di avere un gruppo. Di avere un “grande” o di essere abbastanza grande da poterlo fare. Di appoggiare i nasini in fila alle finestre e scoprire con la maestra che la vita è fatta di stagioni e che tutto cambia per poi tornare uguale. Che ci sono feste fantastiche in cui ci si impegna molto e poi arrivano mamma e papà e sono così fieri di me.
Si impara che si dice grazie, che si aspetta il turno, si chiede scusa, permesso e si sta insieme, perché la regola fondamentale è che tutti insieme è meglio.
Si impara che a un certo punto siamo diventati grandi davvero e quel luogo sicuro lo dobbiamo lasciare per essere davvero grandi.
Si impara che la maestra può dividersi in mille e abbracciarne cento e che, a volte, la chiamo “mamma” perché inizia per “ma” e mi insegna tanto e alla fine se piango mi accarezza come mamma.
Si impara ad avere il proprio posto nel mondo. Contrassegnato da un disegno. I propri amici. E che non c’è cosa più bella che avere un giardino in cui giocare.
Si impara che siamo ALTRO.
Altro dalla famiglia, altro dai fratelli, che sono indipendente e che wow! ho tanti amici.
Imparo a confrontarmi, anche se a volte un morso ci scappa, ma la maestra mi insegna come si fa ad arrabbiarsi e fare pace senza morsi.
E imparo che in un “Ciao maestra!”Ci sono segreti, storie e racconti che mamma e papà non sapranno mai e che domani e domani ancora saranno di nuovo miei e solo miei.
Perché anche io, cari politici, se sono piccolo e parlo un po’ male e magari ho il ciuccio sono una persona.
Non mi posso tatuare, non mi interessa l’aperitivo, ma ho bisogno di stare con gli altri come me per sapere chi sono, per formare il mio carattere e la mia personalità.
Perché sono le esperienze che mi formeranno.
E voi mi avete tolto la più importante… ed io ho capito.
Perché devo vivere, perché solo vivendo troverò me stesso.
Perché fanno così tutte le persone.
Ma Voi lo sapete davvero cosa è una persona?
Sono una persona e lo saprò solo attraverso gli altri.
Provate solo un nano secondo a pensare a questo: magari capirete perché le mie maestre sono così profondamente arrabbiate e deluse.
Cinzia, insegnante – Scuola dell’infanzia di Trento