Pubblichiamo la lettera che Ebruk Busni, studentessa del Corso di laurea magistrale in Antropologia e Storia del mondo contemporaneo presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, ha inviato al corpo docenti del suo Dipartimento in data 29 agosto 2021.

Gentilissime e Gentilissimi,

mi chiamo Ebruk Busni e sono studentessa del secondo anno del corso di laurea magistrale in Antropologia e storia del mondo contemporaneo. Mi sono laureata lo scorso anno in questo dipartimento con una tesi in storia moderna, concludendo con grande soddisfazione la prima parte di un percorso accademico tutto in divenire.

In questi anni di studio e approfondimento, tanto ho imparato e tante cose mi sono state insegnate: i docenti consegnano alla capacità creativa e trasformativa di ogni studente un sapere mai finito, completo, esaustivo, su cui non possono – e nemmeno sarebbe auspicabile – esercitare alcun controllo. In questi anni mi è stato insegnato a riconoscere gli stereotipi, i pregiudizi, le categorie identitarie che utilizziamo per incasellare e ordinare e semplificare tutto ciò che ci circonda; mi è stato insegnato a decostruirli e analizzarli nella loro portata storica, socio-culturale, euristica. Soprattutto, mi è stato insegnato a vedere le persone, gli esseri umani, oltre le etichette che indossano.

Mi è stato insegnato il difficoltoso ma stimolante iter dell’approfondimento, della ricerca che disfa la patina superficiale del fatto e delle sue narrazioni, mi è stato insegnato a muovermi nell’intricatissimo labirinto che collega le ontologie alle rispettive epistemologie, la realtà fattuale alle tecniche interpretative di tali realtà.

Mi è stato insegnato a diffidare dell’informazione di regime, a soppesare criticamente i termini e le scelte lessicali utilizzate dai media, a studiare i mezzi, i canali, le forme della comunicazione; mi è stato consegnato un bagaglio di attrezzi cognitivi, epistemici, scientifici per districarmi nella complessità mai banale che si cela dietro il velo di Maya del linguaggio in tutte le sue articolazioni.

Mi è stata insegnata l’importanza scientifica del dialogo, del confronto, della verifica, dell’onestà e libertà intellettuale, della cogenza epistemica ma prima ancora umana dello sbaglio. Mi è stato insegnato il volto pubblico e aperto alla critica argomentata del metodo scientifico e in che misura si può parlare di dignità euristica dei dati raccolti e utilizzati per costruire teorie e prassi.

Infine, mi avete consegnato il prezioso testimone del pensiero critico, dell’autonomia intellettuale, della pensabilità di discutere in maniera argomentata l’indiscutibile: una fiamma che è compito di ogni studente e di ogni studentessa custodire, alimentare, curare

Così, da più di un anno ormai, utilizzo questa cassetta degli attrezzi che voi tutti, insieme, mi avete consegnato, per decostruire le strategie retoriche utilizzate dai media in merito all’affaire Covid, per smascherare le intenzioni manipolative e fuorvianti di un’informazione sempre meno democratica e dalle spiccate tinte censorie, per tentare un’analisi del potere e della struttura emergenziale su cui si reggono le decisioni prese negli ultimi mesi che non si fermi ai numeri e ai dati forniti, spesso e volentieri non contestualizzati e usati in maniera ascientifica.

Ad oggi, passando attraverso numerose lezioni accademiche, da Foucault a Canetti, da Bourdieu a Scott, da Illich a Agamben, sono giunta alla conclusione che il green pass sia un valido strumento di controllo sociale, emanazione di scelte bio-politiche la cui base scientifica è ancora da dimostrare, frutto di un paradigma emergenziale e securitario, autoritario e coercitivo, promotore di evidenti effetti divisivi e discriminatori.

Scrivo queste parole senza riconoscermi in nessuna delle categorie stigmatizzanti utilizzate negli ultimi mesi, dai negazionisti ai no-vax; eppure le mie scelte fanno della mia attuale posizione un precipitato complottista condito di primitivismo e ignoranza; eppure, esse sono il frutto degli strumenti analitici che i docenti da me incontrati lungo questo percorso di crescita intellettuale mi hanno fornito di volta in volta.

Scrivo queste parole chiedendovi se è questa l’università che vogliamo, un luogo chiuso e invalicabile per chi non possiede il certificato verde – molto si potrebbe scrivere sulla sua liceità e tenuta costituzionale – uno spazio autoreferenziale incapace di applicare all’attualità il pensiero critico che insegna ai suoi studenti; un recinto di perbenismo e autocensure che fanno eco alle logiche autoritarie degli ultimi tempi, che da un lato diffonde idee inclusive e stimola la partecipazione orizzontale e dall’altro nega il diritto allo studio a chi non accetta di conformarsi a misure che ritiene repressive e corollario di precise scelte politiche, prima ancora che sanitarie.

Infine, scrivo queste parole stordita dal rumore dell’imbarazzante silenzio di un intero corpo docenti (con rarissime eccezioni ad oggi note), dalla passività dell’intelligencija del paese, dell’élite intellettuale, del cuore pulsante della ricerca e del pensiero critico, libero, autonomo.

Vi saluto cordialmente

Ebruk Busni