Nei corsi di farmacologia insegnano che ciascuno di noi risponde ai farmaci in modo diverso (citocromo p450). Lo stesso farmaco, studiato ad esempio per eliminare un sintomo, ha efficacia diversa su persone diverse, tanto che in commercio, per uno stesso sintomo, esistono diversi farmaci e sta al medico trovare la cura migliore per il proprio paziente.
Negli ultimi anni si è parlato sempre di più di medicina di genere, che tiene conto di quanto uomini e donne siano diversi biologicamente e fisiologicamente, quindi quanto questo influisca sulla farmacocinetica e sulla farmacodinamica.
L’Italia è stato il primo paese europeo a disciplinare la materia, con l’art. 3 della legge n. 3 del 2018. L’anno dopo, il Ministero della salute ha adottato il Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di Genere che, tra le altre cose, prevede l’istituzione presso l’Istituto Superiore di Sanità di un Osservatorio per la Medicina di Genere.
La legge 3/2018 prevede la promozione di una ricerca che tenga conto delle differenze, l’inserimento della medicina di genere nei programmi di formazione e aggiornamento di tutti gli operatori sanitari e una corretta informazione pubblica.
Nel 2021, alla luce di tutto questo, in nome della “scienza” i cittadini vengono costretti a sottoporsi a un trattamento sanitario di prevenzione (ma di cui ancora si conosce poco) – tutti, indistintamente, senza tenere conto delle diversità individuali, dei noti e possibili “no-responder” al vaccino (che quindi ottengono il green pass senza immunità e inconsapevoli di questo) – senza ponderare il rischio di tale trattamento sulle donne in gravidanza o che cercano una gravidanza, somministrando preventivamente cortisone agli allergici… Insomma, questo farmaco va bene per tutti… e questa viene considerata “scienza”.
In nome della “scienza”, chi è al servizio della cura del prossimo – il sanitario, senza distinzione di ruolo – ha l’OBBLIGO vaccinale, ha il dovere etico-morale di vaccinarsi, pena la sospensione dal lavoro.
Quindi il sanitario che lavora in scienza e coscienza e che, con spirito critico ma consapevolmente, decide di non sottoporsi al vaccino, non può più esercitare la propria professione.
C’è solo da sperare che questa selezione tra i sanitari non lasci solo quei medici che, per non rimanere senza stipendio, si prestano a eseguire ciò che viene detto loro, a seguire protocolli standard su tutti, senza più quello spirito critico che è la spinta verso la ricerca della cura migliore per ciascun individuo e sta alla base del progresso.
Studi scientifici in continuo aggiornamento stanno dimostrando che l’immunità di chi è guarito dal Covid dura nel tempo, dopo 12 mesi, dopo 14… Insomma, in nome di quale evidenza scientifica chi è guarito dal Covid deve vaccinarsi entro 6 mesi? Vaccinarsi con un vaccino che non impedisce il contagio e pare perdere efficacia nel tempo. Che senso ha? Chi si è ammalato ed è guarito per poter andare a lavorare deve vaccinarsi o pagarsi un tampone… perché?
Nonostante ormai sia risaputo che il vaccino in questione non impedisca la diffusione del virus, ai vaccinati vengono concessi i propri diritti, mentre tutti gli altri dovranno dimostrare di essere sani, ma dal 6 dicembre in Italia non basta essere sani per poter andare a mangiare una pizza o andare al cinema, si deve essere vaccinati e poco importa se, nonostante il vaccino, si è positivi asintomatici e contagiosi.
Non è possibile obiettare, siamo in uno stato di “emergenza” e, a mio personale avviso – come nei tempi di guerra – veniamo chiamati a sacrificarci in nome della patria. Un tempo tutti gli uomini, indistintamente, erano chiamati a prestare servizio in guerra e anche chi non voleva era costretto. Il progresso e la storia avevano portato a rimuovere il servizio militare obbligatorio, proprio nel rispetto di chi era contrario alla guerra o di chi semplicemente non era disposto a sacrificare la propria vita. Oggi, invece, chi non si vaccina è trattato come un disertore in tempo di guerra, esiliato, confinato, spogliato dei propri diritti.
Perché, in nome della scienza, non si promuovono cure contro il Covid, ma solo – unicamente, violentemente e a gran voce – un trattamento preventivo (o presunto tale) a tappeto?
Se dopo DUE anni siamo ancora in stato di emergenza, non sarebbe doveroso fare un passo indietro, ammettere un errore e cambiare strategia? Un errore perpetrato nel tempo non è più un’azione esercitata in buona fede.
Dott.ssa Marina