In merito all’ipotesi di prolungare l’anno scolastico fino alla fine di giugno 2021, La Scuola Che Accoglie intende sottoporre alcuni quesiti e riflessioni alla collettività tutta e al Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi.
Da quanto si apprende dai media, il prolungamento dell’anno scolastico avrebbe come obiettivo quello di far recuperare agli studenti “il tempo perduto” a causa delle chiusure e della DAD.
Di fronte a questa affermazione, sorgono immediate numerose domande:
- Dove andrebbe rintracciato “il tempo perduto” nei numerosissimi istituti che hanno sempre lavorato in presenza, pur tra mille difficoltà, da settembre a oggi?
- Come viene considerato dal Ministro e dal governo tutto il lavoro imposto a docenti e studenti, da un anno a questa parte, tramite DAD e DDI? Si tratterebbe di tempo perso?
- Come si intenderebbe far proseguire l’anno scolastico fino al 30 giugno a studenti e docenti già provati, fisicamente e psicologicamente, dal difficile lavoro svolto nell’ultimo anno? Ancora tramite la DDI o mantenendo la distanza fisica gli uni dagli altri, indossando mascherine rinchiusi dentro ad aule asfittiche e surriscaldate, in edifici fatiscenti spesso privi di cortili e aree verdi?
- A cosa dovrebbe mirare questo periodo supplementare? Al recupero dei contenuti o di abilità e competenze? Quali? Solo ed esclusivamente quelle legate ai contenuti o anche quelle, ben più importanti, di tipo relazionale?
- Come si concilierebbe una decisione nazionale di tale portata con l’autonomia scolastica?
Forse si è caduti nuovamente nell’errore di confondere la quantità con la qualità: non importa QUANTE ore si trascorrono in un edificio scolastico, ma COME si trascorrono.
La Scuola merita un reale interessamento e una riflessione volta ad una sua riforma che poggi su solide basi pedagogiche e scelte ponderate, dettate dalla necessità di mettere al centro dell’operare i discenti e i loro diritti, costituzionalmente sanciti, piuttosto che un maldestro tentativo di salvare il salvabile, attraverso rimedi frettolosi e approssimativi.
Non giova a nessuno attaccare nuovamente la scuola, la “Cenerentola” di tutte le istituzioni, già da anni bistrattata, snaturata, privata di mezzi economici e strutturali, iper burocratizzata.
Non risolve la situazione continuare ad attaccare i docenti, denigrati e presentati come categoria di privilegiati, senza voglia di lavorare, che si oppongono a qualsiasi riforma, così, per partito preso.
Non si aiutano gli studenti di ogni ordine e grado, trattandoli come untori irresponsabili, pedine da poter spostare sulla scacchiera dei giochi della politica, a seconda della convenienza del momento. Da mesi sono evidenti le privazioni a cui sono stati sottoposti bambini e ragazzi, che nonostante tutto, hanno reagito alle paure degli adulti e cercano quotidianamente di proseguire la loro vita, in una società che li priva del presente e del futuro, sottraendogli persino la speranza di una vita normale.
Da mesi innumerevoli voci (docenti, studenti, famiglie, psicologi…) lamentano che la DAD e la DDI non sono scuola e i danni del digitale erano evidenti già a poche settimane dall’inizio del lockdown, lo scorso marzo. Ciò nonostante, anziché compiere scelte tempestive, coraggiose e adeguate per la ripartenza, si è preferito approssimare uno pseudo-adeguamento delle strutture.
Ogni evento negativo porta con sé grandi occasioni di crescita e miglioramento e l’emergenza poteva essere l’occasione per un ripensamento dell’intero settore, a partire dalla riduzione del numero di alunni per classe, dal potenziamento del sistema del trasporto pubblico, dal reperimento di nuovi edifici da adibire a sede scolastica e così via.
Ma non è nella nostra natura di intellettuali e formatori formulare quesiti e sollevare problemi senza provare a dare risposte e suggerire soluzioni.
Le risposte per la risoluzione dei problemi sono sempre davanti ai nostri occhi, se sappiamo guardare le difficoltà da un altro punto di vista, utilizzando capacità critica e pensiero divergente, essendo creativi e parlando con chi la scuola la vive tutti i giorni.
Non ci tireremo indietro nemmeno questa volta, se si deciderà per un’ulteriore modifica del sistema, purché, finalmente, si decida di lavorare come si dovrebbe:
- in presenza, senza mascherine e senza distanza;
- in aule luminose, spaziose, accoglienti;
- in edifici scolastici attrezzati, dotati di spazi adeguati alle esigenze didattiche, ma anche psicologiche, emotive e relazionali di alunni e docenti;
- in classi non-pollaio, dove insegnanti e alunni possano instaurare una relazione significativa per l’apprendimento;
- all’aperto, per poter conoscere il mondo, che diventerebbe così il primo vero luogo di apprendimento, a contatto con la realtà, che si svela e insegna attraverso l’esperienza, il fare attivo, sotto la guida di docenti motivati e formati;
- senza burocrazia che sottragga tempo all’insegnamento e all’apprendimento;
- adeguando metodi e programmi alla realtà contemporanea;
- nella vera libertà di insegnamento e nel rispetto delle opinioni di tutti, in autentica democrazia.
La scuola è presenza, è relazione, è libertà di apprendimento, è attività, movimento, parola, scambio, aria aperta, sorrisi, abbracci, tempo trascorso insieme.
Essere docente è una vocazione, non un lavoro, è dedizione, amore, ascolto, progettualità, condivisione, osservazione, aiuto, disponibilità, gratuità.
Il nostro Paese ha dato i natali a straordinari pedagogisti e Maestri, che tutto il mondo ci invidia e imita. Sulla scia dei loro insegnamenti, possiamo ricominciare, imparando dalla vita ad essere semplici, per tornare all’essenza delle cose, in armonia con la natura e il creato, poiché siamo tutti parte di un delicato equilibrio che può mantenersi solo se ciascuno di noi diventa consapevole che non è padrone del mondo, ma ospite.
La Scuola Che Accoglie