Ci siamo ritrovati divisi in due fazioni che faticano ad ascoltarsi. C’è una resistenza al confronto.
La motivazione “per il bene della salute di tutti” ha facilmente convinto l’opinione pubblica, tuttavia il concetto di bene comune è complesso e il dialogo non decolla. Siamo quindi bloccati all’accusa reciproca di egoismo e la discussione si protrae su frasi fatte. Se qualcuno prova a dare spazio a riflessioni oltre gli slogan è probabile venga attaccato.
In un contesto simile, la scuola può rimanere in silenzio senza prendere una posizione? Il Ministro dell’istruzione ha dichiarato di volere una scuola “più consapevole di se stessa”: che si invitino allora professori e studenti a riflettere in modo critico sulla condizione in cui ci ritroviamo oggi.
Facendo riferimento ai grandi Maestri – dalla disobbedienza civile di Don Milani, secondo il quale ognuno doveva crescere consapevole del proprio essere cittadino, all’idea di libertà collettiva raggiungibile attraverso la libertà di ciascuno di Lamberto Borghi; dall’antroposofia di Rudolf Steiner all’assoluto pedagogico di Raffaele Laporta – dove si colloca la scuola in tutto questo?
L’Italia obbliga chi non è ancora in possesso del green pass a vaccinarsi e lo fa chiedendo agli insegnanti reticenti di “agire per il bene della comunità”. Si passa dunque il messaggio che nelle scuole chi non è vaccinato è contro la comunità.
Come professore sento la necessità di un pensiero che abbracci quanto sta avvenendo in maniera più organica e completa, proprio come si farebbe per qualsiasi argomento trattato con competenza all’interno di una classe. La conoscenza, il dibattito critico, la ricerca, l’ascolto sono alla base del processo formativo. Attraversiamo un periodo storico che verrà studiato sui libri scolastici: la scuola dovrebbe affrontarlo.
Il Ministro dell’istruzione ha dichiarato che “stiamo lavorando ad una scuola nuova, più inclusiva e affettuosa”, ma questo tipo di scuola nuova che insegna ad allontanare chi non si omologa non può essere inclusiva, tantomeno affettuosa. Il Ministro, inoltre, ci chiede di fidarci della scienza, ma stando alle statistiche, se dovessimo essere coerenti, la cosa più sicura sarebbe che anche i vaccinati si facessero il tampone prima di entrare in aula. Promuovere slogan contro la dad per obbligare alla vaccinazione tutto il corpo scolastico, o incitare a vaccinare i propri figli così da poter creare classi “sicure”, è a mio avviso una comunicazione diseducativa.
Il Ministro fa leva sul termine solidarietà, perchè “torni ad essere il punto fondamentale della nostra sicurezza”, elogia pertanto gli insegnanti vaccinati che garantiscono la non diffusione del virus nelle scuole e proteggono ragazzi e professori che non possono vaccinarsi o immunodepressi.
Così espresso, il concetto di solidarietà è tuttavia polarizzato in una sola direzione. Sarebbe giusto, a mio parere, adottare uno spirito solidale nei confronti di tutta la comunità, senza discriminazioni, e garantire la possibilità di insegnare senza essere obbligati a vaccinarsi né dover pagare i tamponi.
Tommaso Bozzalla